Castrazione

Il termine «castrazione» fu introdotto da S. Freud nel campo della psicoanalisi, ma non è possibile individuare con precisione il momento in cui ciò avvenne. Questa parola sta a indicare uno dei quattro paradigmi universali in base ai quali si palesano i cosiddetti fantasmi originari. Questi ultimi - ossia la scena primaria, che riguarda la questione della propria origine; la castrazione, come prima spiegazione della differenza dei sessi; la seduzione, che fonda le relazioni di potere/impotenza e infine il ritorno al seno materno, che suggella la nozione della propria morte con il ricostituirsi dell'unità originaria indifferenziata - sono condensati nel complesso edipico come esperienze emotive riguardanti le coppie di opposti violenza/ amore e separazione/unione. La castrazione costituisce il presupposto narcisistico del complesso edipico e sotto il termine di «complesso di castrazione» si può riassumere l'insieme dei problemi ai quali è sottoposto l'originario narcisismo infantile (Freud, 1914d). Freud pensò dapprima che le fantasie edipiche dei suoi pazienti fossero veri ricordi; in seguito, convinto invece che si trattasse di inganni della memoria, sottolineò sempre più l'importanza del fantasma (rappresentazione mentale cosciente e inconscia), come supporto che organizza il desiderio umano permettendogli di prendere forma. Questa posizione fu sviluppata successivamente da vari autori che parlano di fantasmi originari in una duplice accezione: in primo luogo, come quelli che trattano il ritorno alle proprie origini, rivisitate secondo quanto suggerito dai miti familiari nei quali, sin dall'inizio della vita, ogni essere umano si trova immerso, che gli sono trasmessi dall'ambiente attraverso tutte le manifestazioni significanti di cui esso è impregnato, e innanzitutto il linguaggio. In particolare, la madre invade fatalmente il piccolo con le proprie manifestazioni passionali, per lui assolutamente misteriose e indecifrabili, poiché lo stato di prematurazione dell'essere umano alla nascita e la lunghezza del suo processo di crescita e di sviluppo, lo pongono in una condizione di dipendenza prolungata e totale dall'ambiente. In secondo luogo, tali fantasmi sono essi stessi in grado di originarne e di organizzarne altri durante tutto il corso della vita. Freud sottolineerà come vi sia sempre in noi una differenza fra il piacere del soddisfacimento agognato e quello effettivamente ottenuto e che a tale differenza è dovuto quell'impulso che ci sospinge sempre oltre (Freud, 1920a). La castrazione, taglio infetto al godimento assoluto della vita, è dunque essa stessa impulso al vivere e consente l'emergere del desiderio (Lacan, 1994). La castrazione è un concetto teorico complesso. Esso si può capire solo all'interno della teoria freudiana della sessualità e della prima teoria della nevrosi, dove il rapporto tra desiderio e principio di piacere assume il carattere di asse portante di tutto l'apparato teorico che descrive sia il funzionamento della psiche che la clinica delle nevrosi (Conrotto, 2003). Il suo presupposto esplicativo è costituito da un fantasma inconscio, quello dell'universalità del pene, ossia dell'unicità degli esseri viventi, che riguarda una specifica fase dell'evoluzione libidica del bambino, chiamata in psicoanalisi «fase fallica». Freud la descrive come un'organizzazione sessuale nella quale entra in gioco il solo genitale maschile, poiché quello femminile non è ancora stato scoperto. Si tratta del cosiddetto primato fallico, dove l'antitesi fra i sessi non è data dal contrasto tra maschile e femminile, bensì da quello tra il possesso del pene e l'esserne privi in quanto evirati (Freud, 1924d). In tal modo l'essere umano è assimilato, nell'inconscio infantile, a una sorta di ideogramma fallico che ne simboleggia l'integrità narcisistica originaria, e che si collega antino-micamente a quel fantasma originario che ne rappresenta l'opposto: la castrazione (Grunberger, 1971).

La castrazione si caratterizza per una specifica ansietà e per la presenza di un particolare meccanismo psichico inconscio, il diniego, basato su di una scissione della personalità in base alla quale l'evidenza percet-tivo-sensoriale viene ammessa ma, contemporaneamente, negata nell'inconscio onde mantenere intatta la realtà psichica fantasmatica della fase fallica stessa. Prendendo le mosse da una percezione sensoriale, quella dell'assenza del pene nella donna, essa si carica rapidamente di una componente di angoscia collegata a una minaccia immaginaria che si incarna nell'adulto, al quale viene attribuita una funzione di ostacolo e di interdizione minacciosa. La parola castrazione non indica quindi il fatto della mutilazione dei genitali maschili. L'angoscia di castrazione non è un sentimento, un'emozione vissuta come tale dal soggetto, bensì un'esperienza infantile totalmente inconscia che solo nella cura analitica potrà essere riportata alla coscienza, dando senso alle manifestazioni sintomatiche attraverso le quali essa si esprime nell'adulto. Né essa va confusa con le paure che si possono comunemente osservare nel piccolo: fobie e incubi notturni, per esempio, sono solo manifestazioni difensive nei confronti del carattere intollerabile dell'angoscia inconscia. Pur riguardando il membro reale, poiché esso è minacciato nell'inconscio, si può dire che l'angoscia di castrazione è una struttura dell'inconscio, struttura logica prima e più che cronologica, alla quale incombe il compito di organizzare lo sviluppo psichico dell'essere umano correggendo quell'errore del pensiero costituito dalla primitiva teoria presupposta sui sessi. Si tratta di un orizzonte esistenziale nel quale siamo proiettati nel momento stesso in cui veniamo al mondo, esattamente come accade per il linguaggio, e il cui fantasma riemerge continuamente nel corso di ogni trattamento psicoanalitico, sotto le forme simboliche più varie, dai sentimenti di inferiorità alle fobie, all'invidia del pene.

Come termine generico la castrazione fa la sua comparsa precocemente nel pensiero di Freud. Infatti egli vi accenna in una lettera a W. Fliess (Freud, 1887-1904), dove la definisce come una minaccia di punizione paterna per l'attaccamento alla madre e la pone in connessione con il mito di Edipo che eleverà in seguito a complesso universale costitutivo della sessualità e del funzionamento psichico dell'essere umano. Il nucleo centrale del complesso edipico è relativamente semplice; nel caso del maschio, un forte attaccamento alla madre, di carattere vorace e assoluto, si accompagna con un intenso sentimento di rivalità verso il padre. In questo senso, il complesso di castrazione opera conformemente al proprio contenuto: esso inibisce e limita la virilità e promuove invece la femminilità, intesa come sottomissione alla realtà della vita e all'inesorabilità della legge, naturale o politica. L'integrazione del termine nel corpus dell'opera freudiana inizia con L'interpretazione dei sogni (Freud, 1899a) ma, come angoscia e come complesso, la castrazione viene collegata compiutamente alla clinica solo verso il 1909, dopo la pubblicazione del testo conosciuto come Caso clinico del piccolo Hans (Freud, 1908a), il quale può essere considerato come la più completa esposizione della teoria freudiana della sessualità infantile. Il piccolo Hans vi appare come l'esponente di un tipo di ricerca laica, basata sulla valutazione dei fatti e rivolta a organizzare il pensiero secondo un modello di elaborazione dove realtà psichica e realtà esterna cercano un punto di incontro. La differenza anatomica dei sessi gli si presenta come un enigma che ne stimola la curiosità e il desiderio di conoscenza. Posto di fronte all'evidenza sensoriale della differenza sessuale, Hans ne prende atto ma, al contempo, la nega inconsciamente, ritenendola non tanto espressione di una diversità di esseri completi nella loro incompletezza, bensì del fatto che ciò che non appare manchi per effetto di un intervento di ablazione di carattere punitivo a causa dei fantasmi incestuosi riguardanti la madre, di cui egli stesso è abbastanza consapevole. Di tale intervento si incarica il padre. La questione della sessualità si accoppia così, nell'Edipo, a quella del potere, ossia della differenza delle generazioni e pone quindi anche il problema del tempo. Si noti che, in Freud, il tema edipico dell'assassinio del padre prevale costantemente su quello dell'incesto. Da qui il peso particolare che egli assegna alla castrazione come forma di minaccia ridotta rispetto alla messa a morte ritorsiva.

Freud introduce la castrazione in collegamento con una teoria della sessualità intesa in modo estensivo, non solo come genitalità, ma come disposizione di base dell'essere umano nel quale essa è presente sin dall'inizio della vita come potenziale bisessualità a cui il complesso di castrazione e l'Edipo forniranno gli elementi necessari per uno sviluppo armonico. Quella umana è una psicosessualità: non si tratta di un mero dato naturale di origine biologica, ma deve la sua esistenza ai fantasmi incestuosi infantili, rimossi a causa dell'angoscia di castrazione. L'esistenza di una sessualità infantile e l'importanza delle esperienze di piacere per assicurare un corretto sviluppo psichico e un soddisfacente funzionamento mentale saranno uno dei temi centrali della riflessione freudiana. Piacere sin dall'inizio di carattere sessuale, principio organizzatore di una psiche conflittuale, presa tra la spinta alla soddisfazione del desiderio e la colpa relativa ai fantasmi incestuosi. La prima sistematizzazione di questa teoria sessuale appare in Tre saggi sulla teoria sessuale (Freud, 1905c). La linea di ricerca freudiana non era, in sé, estranea a un filone comune a molti altri medici e psichiatri contemporanei i quali, spinti da esigenze di ordine sia scientifico che medico-legale, si dedicavano in diversi paesi europei allo studio delle manifestazioni più varie della vita e specificamente di quelle sessuali, ma ciò che appariva sconvolgente per i principi della morale corrente del tempo, era non solo l'affermazione dell'esistenza di una sessualità infantile e dell'importanza della sessualità in generale, ma il modo in cui ciò avveniva. Non solo Freud invadeva un campo tradizionalmente riservato alle elaborazioni della religione (Petrella, 1993), ma in più tutto questo accadeva seguendo una linea di ricerca che pretendeva di dare dignità scientifica a ogni tipo di materiale di scarto, vile e trascurabile per i canoni scientifici tradizionali. Egli valorizzava infatti i rifiuti della scienza quali errori, atti mancati, lapsus, dimenticanze, aberrazioni comportamentali e specificamente sessuali, sogni, altrettanti punti di scacco della visione confortevole di una vita che poteva essere idealizzata solo a patto che di essi si ignorasse l'esistenza.

In questo contesto il complesso edipico, con la castrazione che ad esso si correla, diventa modello di sessualità ma anche, più in generale, di significato per il soggetto umano. Come già detto, per l'infante l'essere umano è fallico: egli possiede un pene oppure ne manca perché castrato. L'evoluzione sessuale si organizzerà a seconda di come questo pene immaginario, il fallo, sarà presente o assente nel mondo umano. In realtà ciò che il figlio imparerà a conoscere più tardi come un pene, si presenta dapprima per lui come una qualità che egli avverte nella madre e che la configura come madre fallica, struttura psichica inconscia in ambedue i sessi. Questa costruzione immaginaria resterà per sempre come dato organizzatore della vita individuale e base di ciò che caratterizza l'inconscio del maschio e della femmina: minaccia e angoscia di castrazione nel primo, invidia del pene e desiderio nella seconda. Pur riguardando quindi ambedue i sessi, la castrazione si presenta con diverse modalità e con esiti diversi nel maschio e nella femmina. Più sensibile nel primo, in quanto segnata dalla possibilità di perdere ciò che realmente si possiede, nella seconda invece essa non si localizza comunemente sull'avere ciò che già non si possiede, quanto sull'essere quello che si è, sull'essere in quanto tale e quindi sul pericolo di perdere l'amore dell'oggetto, la madre, che la fa esistere come donna. Da qui differenti evoluzioni edipiche: quella maschile, caratterizzata dalla rinuncia alle spinte incestuose per evitare la castrazione e mantenere la propria integrità corporea; quella femminile, invece, dall'accettazione della propria condizione e dalla successiva richiesta di amore edipico verso il padre. Si chiarisce come la funzione dell'Edipo che, collocando all'esterno un divieto, trasforma in impossibilità l'originaria impotenza infantile, riduca l'impatto lesivo di quest'ultima sul narcisismo del bambino, permettendo l'integrazione del limite come parte fondante della struttura del soggetto umano, collegandolo alle leggi del vivere in comune (Grunberger, 1971).

La differenza sessuale si iscrive all'istante nell'ordine del linguaggio e della legge che regola gli scambi intersoggettivi, sia endo- che esogamici, nello spazio e nel tempo, e che noi tendiamo a pensare come il prodotto di un intervento legale da parte di un'autorità divina: così si esprime Platone nel Convito, così il Libro della Genesi. In quest'ultimo, Dio crea la donna mentre Adamo dorme, quasi a significare che essa debba restare un mistero che stimola nell'uomo un desiderio di conoscere il quale si configura sempre come trasgressione, illegalità generatrice di colpa. Inesorabilmente, chiunque aspiri a sottrarsi alla divisione e al mistero, alla castrazione che ci definisce, si misurerà con il problema della legittimità dei propri atti e con la minaccia della punizione. L'etica nasce dunque come sfondo necessario per dare alla ricerca una giustificazione e un fondamento di possibilità. In questo senso, l'indagine di Edipo circa l'identità dell'assassino di Laio è un modello molto suggestivo: egli procede infatti con molta determinazione nella sua ricerca solo in quanto è certo di non essere colpevole. Si potrebbe dire che il senso di colpa muove il desiderio di conoscenza, di ricostituire l'unità originaria ideale, di oltrepassare la soglia dell'ignoto, ma che lo scopo della ricerca è quello di abolire la colpa.

La chiarezza dei concetti è sempre sottoposta all'usura provocata dalla normale banalizzazione dei termini che li definiscono: la castrazione non sfugge a questo destino. Due elementi sembrano avere influito in modo particolare sull'evoluzione del concetto: da un lato, le rielaborazioni della teoria, a partire da Freud stesso; dall'altro, i cambiamenti intervenuti nel costume sociale e i mutati interessi della clinica psicoanalitica. La revisione teorica realizzata da Freud sotto il nome di «seconda teoria pulsionale» (Freud, 1920a) introduce un ulteriore, radicale antagonismo, al di là di quello già esistente tra la spinta alla soddisfazione istintuale e il programma della civiltà che impone la rinuncia a una certa quota di soddisfacimento individuale in funzione del legame sociale. Tale antagonismo consiste nel fatto che, al di là del principio di piacere, la stessa esigenza pulsionale è infiltrata da una tendenza mortifera, pulsione di morte, di carattere ancora più intrinsecamente pulsionale, la quale esclude ogni possibilità di finalizzare il soddisfacimento della pulsione al raggiungimento di una meta edonistica naturale. Prima ancora dell'Altro, della polis con la sua Legge, già il corpo, attraverso la sofferenza, l'invecchiamento e la morte, si oppone a ogni possibilità di realizzare quello che potremmo chiamare il «programma della felicità» al quale aspira ogni essere umano. Si precisa così ulteriormente il carattere immanente al soggetto umano della castrazione che starà a indicare anche un soggetto attraversato da un'eterogeneità irriducibile, un residuo di dispiacere radicato nel corpo e la cui esistenza non può essere soppressa per l'incapacità dell'apparato psichico di metabolizzarlo completamente. Esso lo può evacuare in atti, lo può contenere, lo può anche rappresentare in parole ma, anche se il linguaggio contiene un'istanza di totalità, con il suo parlare l'essere umano presenta il proprio desiderio che allude a se stesso come inesorabilmente castrato, dice di una ferita narcisistica che si tenta invano di chiudere in uno sforzo continuo teso a ritrovare quelle ucronie dove gli oggetti del desiderio si trovano immediatamente a disposizione e dove la realizzazione del desiderio è quindi assicurata senza alcuna necessità di spendersi. La revisione freudiana del 1920, oltre a promuovere questa trasformazione retorica, è anche all'origine di un mutamento degli interessi della clinica psicoanalitica, la quale si volgerà dall'uso degli oggetti interni alle modalità del loro costituirsi, dalla perdita dell'amore a quella dell'oggetto, dal conflitto nevrotico centrato sul sintomo come effetto del ritorno del rimosso alla cosiddetta clinica del vuoto, di una mancanza irriducibile come dato ontologico fondante un modello di pensiero diverso. In esso il problema non è più costituito dalle forme attraverso le quali l'angoscia di castrazione si fa rappresentare, ma dalla questione stessa della rappresentabilità cioè della capacità di trascendere le cose concrete, di prendere distanza dal dato empirico, di elaborare il lutto per l'assenza dell'oggetto concreto ai fini della conoscenza (Borutti, 2003). Questa clinica si presenta con sintomi nuovi secondo una logica che investe la costruzione narcisistica del soggetto, il senso di esistenza e che comporta altri tipi di angoscia, non più solo di castrazione ma di frammentazione, di fusione e di perdita dei confini del Sé. Parte fondamentale di questa situazione è la svalorizzazione della sessualità freudiana, iniziata già con C. G. Jung e che arriva al culmine con M. Klein. Parallelamente ad essa procede una revisione dell'Edipo la quale ne riduce la componente sessuale a profitto di una sopravvalutazione di elementi arcaici riferiti a oggetti parziali, rappresentanti dell'oggetto parziale per eccellenza: il

seno nelle sue due declinazioni, buona e cattiva. Se in Freud l'angoscia di castrazione deve cedere il passo alla rinuncia pulsionale e alla sublimazione, segnalando in tal modo come la specie prevalga sul singolo, dalla Klein in poi essa sarà sempre più margina-lizzata all'interno di un mito sociale ideale di sessualità, senza conflitti né con le mode correnti, né con se stessa, né con i propri oggetti. L'Edipo, ridotto a tema secondario e snaturato in modo da non essere più né l'agente principale della strutturazione psichica del piccolo, né ciò attraverso cui si trascende la relazione tra figlio e madre, cesserà anche di essere modello di sessualità e di senso per l'essere umano. Di conseguenza, la differenza sessuale cessa di costituire quel potente apparato organizzativo, materiale e simbolico, sul quale si è edificata in buona parte la modernità (Barale, 2003b). Caduta la funzione di strutturazione soggettiva e collettiva del complesso di Edipo, le capacità simboliche dell'uomo ne risultano segnate. Non solo è modificata l'idea di incesto, così che per castrazione oggi intendiamo sempre più le vicissitudini di un fantasma che è primariamente quello della madre nella nascita, ma viene anche banalizzata tutta la sessualità, la cui concezione si riveste di un certo naturalismo il quale, eliminando la castrazione come il marchio che distingue la differenza tra i sessi, comporta implicitamente la credenza che la sessualità umana sia un dato naturale, fondato biologicamente. Da qui anche una specie di determinismo sociologico secondo il quale la differenza sessuale sarebbe imposta culturalmente a donne e uomini già determinati biologicamente, così confondendo la realtà biologica apparente con l'incertezza universale dell'inconscio, la liberazione del costume con quella del desiderio, gli impulsi sessuali attuali con i fantasmi incestuosi rimossi. La conseguente fluidificazione dei tradizionali legami forti esistenti tra sesso, genere e ruoli di genere favorisce una frammentazione delle identità, una vera «turbolenza dei generi» (Barale, 2003b) che spinge verso la realizzazione di un modello sociale sempre più erotizzato ma anche sempre meno sessualizzato. I suoi ideali sono da un lato l'indifferenza sessuale e dall'altro il potere assoluto, forme di soddisfacimento pulsionale alle quali la tecnica sembra offrire sempre nuove possibilità di soddisfazione che prescindono da ogni genere di relazionalità vera con il diverso, irriducibile e quindi sessuato. Prima che nelle parole, il male di vivere passa così direttamente dal corpo agli atti, alimentando sempre più l'illusione della possibilità di una propria realizzazione autarchica e onnipotente, in grado di sfidare la castrazione e di prescindere da ogni forma di accettazione della Legge che ci limita.

GIORGIO LANDONI